«Di fronte alla grandezza del Maestro Ueshiba, che
ho avuto la fortuna di conoscere solo nei suoi ultimi
anni, mi sento come una pozza d'acqua a fianco di
un oceano. Cosi non commetterò mai lo sbaglio di
voler rappresentare la sua tecnica inimitabile.
Agisco unicamente su richiesta di coloro che trovano
che una piccola candela possa comunque essere di
una certa utilità quando l'oscurità è completa.
Sarei invece felice se l'immaginazione dei praticanti
fosse abbastanza forte da cogliere, attraverso di me,
il messaggio d'Amore di cui parlava il grande
Maestro.
L'Aikidò si diffonde nel mondo e l'insegnamento si
organizza. Allo stesso tempo si rafforza l'aspetto
amministrativo.
Se è vero che questo aspetto e un'inevitabile
conseguenza dello sviluppo, e se esso comporta delle
innegabili facilitazioni, bisogna anche vedere il lato
meno favorevole della cosa. L'amministrazione è
capace di soffocare l'iniziativa e di paralizzare
l'intuizione.
Ricordiamo che nel Medioevo, in Giappone come in
Cina, che si trattasse dell'insegnamento zen o
dell'apprendimento delle arti marziali, era l'allievo a
scegliere il Maestro e non il contrario. L'allievo,
guidato unicamente dalla propria intuizione, partiva
in pellegrinaggio presso diversi Maestri finché non
ne trovava uno che rispondesse alle sue aspirazioni.
Questo pellegrinaggio era chiamato henzan, giro
delle montagne, dai monaci zen».
Oggi, sento parlare di lotte tra le organizzazioni, di
prestigio, di sfere d'influenza, e ne sono rattristato.
Cosa diventa l'Amore universale predicato dal
Maestro? E cosa diventa il mondo, che lui concepiva
come una sola e unica Famiglia?
Posso augurarmi che l'Aikido porti l'Amore e non il
dissenso, che l'insegnante sia libero di insegnare nel
modo che concepisce e che l'allievo sia libero di
scegliere l'insegnamento che gli piace?»… |