Abate benedettino in odore di alchimia, poi autorevole vescovo della diocesi di Bellay, autore tanto di opere teologiche e pastorali di chiara ispirazione controriformista quanto di operette apologetiche sulla Grande Opera, sulla medicina magnetica e sulla talismanica, introdotto a corte e stimato dallo stesso Luigi XIV, di Jean-Albert Belin (1610-1677) ci rimangono pochi e disorganici dati biografici. La sua opera più famosa, di cui diamo qui la prima traduzione italiana, Les Aventures du Philosophe Inconnu en la recherche et l’invention de la Pierre Philosophale (1646), è divisa in due parti: la prima narra, con una vena non priva di spunti satirici e umoristici, le strampalate avventure di un giovane cercatore dei segreti dei Filosofi e dei suoi strani incontri con una varia sequela di imbroglioni e soffiatori; la seconda si sviluppa invece sull’apparizione di una bellissima ninfa iniziatrice che allatta teneramente lo sfinito alchimista e che, attraverso trois discours auxquels tout le secret de la Pierre Philosophale est enseigné, lo conduce alla conoscenza.
In appendice diamo anche la prima edizione italiana de l’Apologie du Grand Oeuvre (1659), l’operetta che forse meglio di ogni altra rende conto dell’ideologia alchemica di Jean-Albert Belin, in cui Crisopea e Cristianesimo si fondono divenendo l’una il riflesso dell’altro, in un’analogia e omologia profonde tra la rigenerazione microcosmica propiziata dal Lapis e la salvazione universale mediata dal Cristo; in questa chiave Belin si inserisce in una ricca tradizione testuale che, prendendo le mosse dalla trattatistica medievale, attraverso l’intensa religiosità della scuola paracelsiana, si esprimerà in maniera sempre più compiuta sino ad autori come Pierre Jean Fabre (1588-1688). |