Aucassin e Nicolette (XIII secolo) narra - in una incantevole alternanza di versi e di prosa - la contrastata storia d'amore fra un giovane aristocratico e una bella schiava saracena, che alla fine si rivelerà anch'essa di nobili origini. Siamo così trasportati fra delicati giochi d'amore, canti di pastorelle e di usignoli, viaggi in fantastiche contrade orientali, crudeli persecuzioni che non impediranno, tuttavia, la felice soluzione finale. È un abile pastiche in cui sono sfruttati un po' tutti i generi della letteratura francese medievale - dalla lirica, all'epica, al fabliau, al romanzo; e chiaramente ne emerge l'intenzione parodistica dell'anonimo autore, che si rivolgeva con ogni probabilità a un pubblico avvertito di "clerici" e di "letterati". Nemmeno il sacro sfugge alla sua ironia leggera e sorridente: come quando Aucassin dichiara di voler andare all'inferno con Nicolette piuttosto che rinunciare al suo amore e conquistare il paradiso, dove vanno "quei vecchi preti e quei vecchi zoppi quei monchi che passano il loro tempo, notte e giorno, rannicchiati davanti agli altari e nelle cripte ad ammuffire". |